God save… Davide Petermann

God save… Davide Petermann

Nome: Davide. Cognome: Petermann. Ruolo: volante. Segni particolari: the only one. L’unico capace di spostare gli equilibri del Foggia. Lo studio è stato breve ma intenso. Poche partite, una convinzione che cresce ma la certezza che – al momento – le sorti (soprattutto offensive) dei rossoneri passino in maniera “monoclonale” per il sinistro educato di Davide. Il ragazzino che doveva finire al Milan, il prodotto della “meglio gioventù” di Roma. Di una città che ansima calcio, soffre, s’illude ma nelle cui viscere c’è il football vero, il pallone di quartiere, delle “Tor… qualcosa” che alimentano la purezza del gioco. Della sfida. Quella di Davide è riprendersi il Foggia. Come faceva quando “sparigliava” a Tor Tre Teste.

L’oscurantismo offensivo dei satanelli è evaporato in un caldo pomeriggio di ottobre. Contro la Fidelis Andria, tre gol come non se ne vedevano dai tempi di Zemanlandia “Chapter Four”. Non a caso proprio nel giorno in cui il metodista rossonero ha abbandonato lo stato di torpore cosmico nel quale era precipitato durante la dissennata epopea Boscaglia. Era stato l’ultimo ad arrendersi a Chiavari l’anno passato, aveva distillato le residue gocce di nobiltà mancina sotto la curva rossonera. Era stato costretto a dare forfait a mezz’ora dalla fine e lì la storia era cambiata. Poi l’estate aveva restituito un volante impacciato, spento, a «piede invertito», in perenne litigio con problemi atletici e una posizione “cervellotica” per le sue caratteristiche. E il Foggia era scivolato nel baratro del qualunquismo produttivo. Azioni con il contagocce, noia distribuita a piene mani. Anche nei primi scampoli di mister Gallo, il quale aveva innanzitutto (e saggiamente!) serrato le fila, aveva alzato la linea Maginot per arrestare l’emorragia dei gol subiti. Poi, e solo poi, dalla quarta esibizione si è cominciato a rivedere un briciolo di football propositivo. Che però non può e non potrà prescindere dai piedi e dal cerebro del capitano. Dalla sua sapienza tecnica, dalla capacità di pescare i compagni con passaggi “no look” quasi visionari (il lancio per Ogunseye nell’azione della rete di Nicolao ne è l’esempio perfetto) e dalla balistica chirurgica che – sfortunatamente – è patrimonio a tutt’oggi solo del n° 25 cresciuto nella Capitale.

In attesa del “resurrexit” di Peralta e Schenetti (che tutti speriamo ma a cui poco crediamo!), del salto di «qualità creativa» di D’Ursi (gli strappi tanto cari a Gallo non bastano più) e di una diversa “intimità” di Frigerio e Di Noia con l’area avversaria, l’ago della bilancia del Foggia che a Viterbo cercherà la 1ª vittoria esterna della stagione sarà ancora Davide Petermann. Con la sua essenza di fine cucitore di gioco, con il suo saper disegnare le traiettorie più limpide della manovra foggiana. Anche con Zeman era partito a rilento, qualcuno (e all’inizio pure lo stesso boemo) gli preferiva la meteora Maselli, poi però il “prof” era salito in cattedra e – al netto di alcuni eccessi di foga agonistica che gli sono costati indebiti stop – aveva contribuito ad alimentare l’utopia del Maestro diventando il fulcro del 4-3-3 dei satanelli. E allora, mutuando l’inno inglese (ma senza voler essere minimamente irriverenti!) ci permettiamo di chiosare scrivendo: “God save Davide Petermann…”, il capitano e condottiero di un Foggia che è tornato a crederci!